La Corte di Cassazione avvalora la decisione dei due gradi precedenti e con la Sentenza 5194/2023
conferma il licenziamento disciplinare, che il MIUR aveva intimato ad una dipendente, colpevole di falsa
attestazione di presenza in servizio.
L’insegnante licenziata, rea di aver aiutato una collega a testimoniare falsamente la propria presenza in
ufficio, utilizzando il badge della collega al suo posto, ha proposto ricorso in Cassazione, adducendo che
alla base della decisione della Corte d’Appello di Brescia vi fossero “una motivazione inadeguata ed
argomenti incongrui, contraddittori”.
La Corte di Cassazione ha però asserito che” nel procedimento civile sono riservate al giudice del merito
l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza
delle prove…”
La ricorrente ha inoltre evidenziato come la Corte territoriale non avesse in alcun modo considerato la
sentenza di assoluzione pervenuta in sede penale e che avrebbe dovuto in qualche modo
ridimensionare la gravità del fatto anche in sede civile.
Ma anche su questo la Suprema Corte si è espressa, ribadendo la regola generale dell’autonomia del
procedimento disciplinare da quello penale, motivo per cui la Corte d’Appello di Brescia avrebbe
correttamente escluso la valenza vincolante dell’assoluzione della ricorrente, peraltro motivata con la
particolare tenuità del fatto e non per non averlo commesso.
Il ricorso è stato dunque rigettato con condanna della ricorrente alla rifusione delle spese in favore del
Miur.

Post correlati