Con l’ordinanza 35235/2022, la Corte di Cassazione accoglie il Ricorso del lavoratore nei confronti del comune di Bisceglie, cassando la sentenza della Corte d’Appello di Bari, che ne aveva invece rigettato la domanda di risarcimento dei danni per mobbing.

Nella succitata ordinanza la Corte di Cassazione indica i quattro requisiti necessari per poter parlare di mobbing sul luogo di lavoro, cercando così di porre chiarezza sulla delicata questione.

Dunque ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono ricorrere:

  1. Una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;
  2. L’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
  3. Il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psicofisica e/o nella propria dignità;
  4. L’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi.

Se ne desume che l’elemento qualificante va ricercato non nella legittimità o illegittimità dei singoli atti bensì nell’intento persecutorio che li unifica, che deve essere provato da chi assume di aver subito la condotta vessatoria e che spetta al giudice del merito accertare o escludere, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto.

Post correlati