Nei primi sei mesi dell’anno, la Sezione Autonoma Misure di Prevenzione del Tribunale di Milano ha disposto la misura dell’amministrazione giudiziaria nei confronti di tre importanti società che operano nel settore della moda con brand molto noti:  

  • Alviero Martini; 
  • Armani;
  • Dior. 

Le società, secondo i giudici hanno colposamente agevolato il reato di illecita intermediazione e sfruttamento del lavoro. La sanzione è prevista dall’art. 34 D. Lgs. 159/2011, nota come Codice Antimafia. 

  Le case di moda sanzionate per ridurre i costi di produzione e velocizzarne i tempi hanno affidato con diversi contratti di appalto la realizzazione di capi di abbigliamento o parti di essi a imprese fornitrici che solo formalmente avevano le necessarie capacità produttive, ma in realtà si affidavano a subappalti verso altre aziende – per lo più opifici cinesi – che non sono in grado di fornire garanzie in termini di sicurezza e gestione del personale. 

La società appaltatrice, in sostanza aveva le capacità e gli strumenti per provvedere alla creazione della merce commissionata, ma non alla produzione dell’intera linea e così le commesse sono state subappaltate a fornitori terzi che a prezzi inferiori hanno garantito un elevato livello di produzione grazie allo sfruttamento della manodopera irregolare e clandestina in stato di bisogno. 

Gli opifici subappaltatori hanno immediata responsabilità per il reato di illecita intermediazione e sfruttamento del lavoro, previsto dall’art. 603-bis c.p., ma l’attenzione del Tribunale si è spostata all’esame della condotta del committente principale, cioè le case di moda. 

Questi grandi brand anche se non del tutto consapevolmente, quando si avvalgono di fornitori inclini allo sfruttamento del lavoro, tengono una condotta penalmente rilevante. 

Le case di moda hanno infatti agevolato la commissione del reato e così realizzato il presupposto per l’applicazione della misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria. 

Questa sanzione ha finalità di natura preventiva e punta a preservare la Società, intesa come persona giuridica, da contaminazioni antigiuridiche, in ossequio alla ratio del D. Lgs. 231/2001. 

Il Decreto infatti ha introdotto il Modello Organizzativo. Le società lo redigono e lo adottano per esercitare un controllo preventivo sulla catena produttiva, e quindi anche delle forniture. 

La Giurisprudenza ha sempre individuato nel Modello, lo strumento principale per il controllo della catena di fornitura.  

Quando il modello 231 non c’è o è inadeguato, la magistratura intravvede uno dei principali indici di carenze organizzative dell’impresa. 

La carenza di controllo sulle fasi di produzione e sulle catene di fornitura consente all’impresa di prestare il fianco e agevolare condotte criminose come quella dello sfruttamento del lavoro, che si nascondono nelle pieghe della filiera di appalti e subappalti. 

Il Modello Organizzativo introdotto dal D. Lgs. 231/2001 ha assunto oggi un ruolo molto importante per non dire indispensabile per prevenire condotte penalmente rilevanti e caratterizzare l’attività d’impresa secondo principi di legalità e correttezza anche nei confronti del mercato. 

Le recenti modifiche normative e il costante, rigido e puntuale orientamento della Giurisprudenza impongono, pertanto, a tutte le aziende di adeguare urgentemente i propri modelli organizzativi e, a chi non è ancora dotato, di provvedere immediatamente al fine di non incorrere nei medesimi errori di rilevanza penale e sociale. 

Per chi fosse interessato, le decisioni commentate sono: 

Post correlati