La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 33341/2022, afferma che spettano al datore l’allegazione e la prova dell’impossibilità di repêchage, quale requisito di legittimità del recesso datoriale, senza che sul dipendente incomba l’onere di allegazione dei posti assegnabili.
Se il lavoratore, ricorda la Cassazione, ha infatti l’onere di allegare l’illegittimo rifiuto del datore di farlo lavorare in assenza di un giustificato motivo, a quest’ultimo spettano quelli di allegazione di prova dell’esistenza del giustificato motivo oggettivo, tra cui l’impossibilità del repêchage, vale a dire dell’inesistenza di altri posti in cui collocare il dipendente.

In buona sostanza sul datore di lavoro incombe la dimostrazione del fatto negativo costituito dall’impossibile ricollocamento del lavoratore.

Nello specifico gli elementi di valutazione utilizzati dalla società (flessione del numero di dipendenti, assenza di posizioni idonee per il reimpiego, estinzione di numerosi appalti ed il cospicuo ridimensionamento delle attività e del personale) non consentono di escludere che, in presenza di numerosi appalti ancora in piedi anche in ambito extra regionale, vi fossero posizioni utili alle quali assegnare il lavoratore invece che licenziarlo.
Dunque di fronte alla violazione di tale obbligo, va disposta la reintegrazione del lavoratore, sulla base anche di quanto indicato dalla sentenza n. 125/2022 della Corte Costituzionale

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