I lavoratori di un’azienda avevano chiesto che i permessi previsti dall’articolo 33 della legge 104/1992 fossero considerati, nel premio di risultato, al pari della presenza in servizio. Il tribunale di Torino, nel rigettare la domanda, aveva affermato che il premio puntava a incrementare la produttività dissuadendo l’assenteismo: nessuna discriminazione quindi perché i lavoratori che si assentavano per i permessi 104 venivano considerati al livello dei colleghi assenti per altri motivi.
Con la sentenza 212/2022, depositata il 14 giugno 2022, la Corte d’Appello di Torino ha invece ribaltato il primo grado, dichiarando discriminatoria la condotta della Società, che non ha considerato tali permessi come equivalenti alla presenza in servizio ai fini della determinazione del premio di risultato e condannandola al pagamento delle relative differenze retributive.

In accoglimento dell’appello, la Corte di Torino ha stabilito che, secondo la Carta di Nizza, la direttiva 2000/78, il Dlgs 216/2003 e la consolidata interpretazione della Corte di giustizia Ue, è vietato discriminare chiunque a motivo della disabilità, indipendentemente se sia lavoratore disabile o colui che lo assiste.

In altre parole è vietato discriminare non solo i disabili, ma anche le persone non disabili, che possono essere discriminate a motivo della disabilità della persona che assistono, con il limite che le persone non disabili possono essere protette solo se si trovano in stretto rapporto con il disabile.

La mancata equiparazione dell’assenza alla presenza in servizio per i lavoratori che fruiscono dei permessi ex L.104/1992, con relativa decurtazione dal premio di risultato, realizzerebbe una discriminazione diretta, in quanto avrebbe sfavorito i lavoratori ricorrenti per il solo fatto della disabilità connessa alla loro assenza.

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