Nell’ordinamento italiano, un primo, formale riconoscimento del diritto alla protezione dei dati personali si è avuto con la legge 31 dicembre 1996, n. 675, “Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali”, oggi sostituita dal Codice in materia di protezione del dati personali (il d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196), meglio conosciuto con il nome di “Codice della Privacy”, che stabilisce chiaramente che la privacy non è solo il diritto a non vedere trattati i propri dati senza consenso, ma anche all’adozione di cautele tecniche ed organizzative che devono essere rispettate perché si possa procedere in maniera corretta al trattamento dei dati altrui.
Il diritto alla privacy deve essere collocato in un delicato sistema di bilanciamento con altri diritti. Lo stesso GDPR, il regolamento europeo di riferimento in materia di tutela della privacy, al considerando 4 stabilisce espressamente che “Il trattamento dei dati personali dovrebbe essere al servizio dell’uomo. Il diritto alla protezione dei dati di carattere personale non è una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità. […]”.
In particolare, la Cassazione è più volte intervenuta sul punto, anche recentemente, con specifico riferimento alla questione del bilanciamento tra tutela della privacy e diritto di difesa in giudizio, quest’ultimo tutelato, lo si ricorda, dall’art. 24 Costituzione.