Intervista all’Avvocato Gianlivio Fasciano (Fonte: IlSudOnline.it)

Avvocato una situazione surreale, nessuno mai si sarebbe aspettato questa guerra, ci descriva i possibili scenari che comporterà a livello lavorativo questo conflitto.

“Da lavorista ho provato a capire cosa significasse, soprattutto ho immaginato che molte di queste persone potessero essere reimpiegate efficacemente nel sistema di tutela della persona (come le badanti e le colf). Invece mi è stata posta davanti la posizione di una architetta.”

Che cosa ha pensato in quel momento?

“La banalità della mia considerazione è stata la prova che non mi fossi messo in discussione, che in fondo non avevo provato a capire cosa stia accadendo. In altre parole avevo un pregiudizio. Poi, ascoltando, ho capito che l’architetta fino al giorno prima che iniziasse la guerra andava in ufficio esattamente come faccio io. Un avvocato non è in grado di fare il badante quanto un architetto.”

Il lavoro può essere uno strumento di accoglienza?

“Non solo. Il lavoro mirato, il rispetto delle professionalità di ciascuno, oltre a cambiare le regole e le aspettative del nostro mercato, riesce in una operazione di conservazione delle esperienze e della memoria di quei territori. Nessuno dei rifugiati riesce a portare con sé i propri ricordi. Niente foto, niente libri, niente di niente. Ecco. Rispettare il lavoro è un nostro dovere che, se assolto, consentirà di preservare al meglio possibile la memoria di un popolo che vuole essere libero.”

Può essere anche un modo per uscire dai nostri schemi?

“Il rischio è quello di restare fuori posto. Questa immagine mi fa correre ad un racconto di Fenoglio in cui il protagonista è un ex partigiano che non riesce a reinserirsi nella normalità della pace. Quando viene investito per errore con il camion da un suo amico gli dice: “Sei un cretino, Palmo, mi tocca morire per un cretino come te”. Non vorrei essere quel cretino.”

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